Foto di Andrea Badalino
Il corallo di Calafuria è tra i più studiati a livello internazionale e rischia di scomparire; qualche anno fa è stato persino depredato da pescatori che arrivando dalla Sardegna hanno cercato di razziare il prezioso animale. Sì, molti non lo sanno ma, il corallo, è un Ortocorallo, una classe di animali della famiglia Corallidae, che consiste in piccoli polipi radunati in colonie di molti individui simili, grandi pochi millimetri. Nel corallo di Calafuria, il Corallium Rebrum, sono chiaramente visibili i polipi dotati di otto tentacoli. E' diffuso nel Mediterraneo e nell'Atlantico Orientale.
Il nome deriva, secondo alcuni, dal greco koraillon, ovvero scheletro duro, altri pensano che l'origine sia greca, ma dal kura-halos cioè forma umana; altri pensano dall'ebraico gora, nome usato per le pietre utilizzate in Palestina e Asia Minore per gli oracoli, il cui ruolo principale era svolto appunto dai coralli.
Il corallo vive fino a 200 metri di profondità, anche se eccezionalmente è stato trovato a 800 metri; si trova in luoghi poco illuminati e con scarsa vegetazione. E' considerato endemico del Mediterraneo, ma si trova anche in Portogallo, Capo Verde e Stretto di Gibilterra. Ha bisogno di una salinità costante (dal 28% al 40%), di poca illuminazione e di scarso riciclo di acqua, anche se la troppa sospensione può causarne la morte. E così facilmente lo troviamo a Calafuria, negli anfratti, nelle grotte e nelle spaccature delle pareti a partire già dai 20 metri di profondità. La sua crescita è lenta: in media dai 0,25mm ai 0,66 mm in diametro e dai 3 o 4 cm in altezza.
Foto di Carlo Ponti
Di colore rosso brillante, si ramifica in colonie che possono arrivare ai 20 o 30 cm di lunghezza, mentre i polipi sono bianchi e trasparenti, lunghi pochi millimetri, con otto tentacoli barbati di appendici pinnate che si estroflessano in ricerca di cibo, conferendo al corallo un'aurea bianca che viene definita "fioritura". Lo scheletro calcareo, molto apprezzato da sempre per la manifattura orafa, è durissimo, ricoperto da uno strato di tessuto molle, chiamato cenosarco, che viene rimosso durante la lavorazione e lucidatura per la creazione di statue e monili. Il corallo si nutre di placton e sostanze organiche sospese, catturati dai tentacoli dei polipi. Gli stessi sono ricoperti da cellule ectodermiche, una sostanza urticante che paralizza le prede. Si riproduce o in via sessuata o asessuata, rilasciando larve dette planule che dopo un mese di vita planctonica si fissano al substrato.
Nella mitologia il corallo nacque dal sangue di una delle Gorgoni, Medusa, quando Perseo la decapitò. Ovidio nelle Metamorfosi racconta che quando il sangue raggiunse la spuma delle onde, si pietrificò su alcune alghe che divennero rosse. Il corallo è anche usato come scacciamalocchio (i cornetti napoletani) e come reliquario della Croce, assumendo valore di sangue di Gesù: prende pertanto valore simbolico della doppia natura di Cristo, umana e divina. Per questo si trova in molti dipinti del Rinascimento, come nella Madonna del solletico di Masaccio e la Pala di Brera di Piero della Francesca.
Foto di Vincenzo Appella
La pesca del corallo viene attualmente fatta solo da corallari che possiedono una licenza specifica, rinnovabile ogni anno presso la Regione di pertinenza, operano solo in alto mare e su fondali dagli ottanta ai centotrenta metri di profondità.
Oltre all'Area Naturale Protetta di Capo Caccia e Isola Piana in Sardegna, il corallo si può ammirare ad Alghero, Sciacca (il suo colore varia dal rosa salmone al giallo arancio e non supera i 12 mm di lunghezza), Trapani, nell'Area Marina Protetta di Portofino e ovviamente la costa tirrenica fra Calafuria e Quercianella.
Qui, per nostra fortuna, ci immergiamo sovente e abbiamo sempre il piacere di vedere e fotografare il corallo. Una specie protetta e affascinante, che ci riempie la vista e il cuore ogni qualvolta, superata la parete, ce lo troviamo davanti nel suo antico e immutato splendore.
CB